Al centro dello stato assiro c’era il re, tale per diritto di nascita. Investito anche del mandato religioso, egli controllava, con l’aiuto di una ristretta assemblea di aristocratici, l’amministrazione e l’esercito ed era il garante della coesione sociale dello stato. La trasformazione degli assiri in classe dominante di tutto il Vicino Oriente trasformò però il rapporto diretto tra il popolo e il sovrano, che diventò inaccessibile e remoto, vertice di una fitta rete burocratica gestita da uno stuolo di funzionari regi che vivevano a corte e di governatori delle varie regioni dell’impero. Questi ultimi potevano far parte dell’aristocrazia assira, ma anche di quella locale "rieducata" alla corte di Ninive. I governatori godevano di larga autonomia e, naturalmente, erano tentati di trasformarsi in dinasti locali sempre pronti, nei momenti di crisi, a staccarsi dal potere centrale. Fu questo il grande problema dei sovrani assiri e la causa delle costanti lotte per la successione che travagliarono in maniera ricorrente l’impero. La classe dirigente si identificava con un’élite militare particolarmente aggressiva che perfezionò l’arte della guerra e dello sterminio sistematico, applicato con spietata ferocia sulle città conquistate, che venivano regolarmente distrutte, e sui vinti che erano deportati in massa. Per questo in Assiria non mancavano gli schiavi che affiancavano i contadini nel lavoro dei campi, dai quali, dopo aver pagato imposte e tributi, ricavavano appena di che sopravvivere. Gli artigiani erano organizzati in corporazioni che lavoravano per la corte, così come i mercanti che, attraverso una fitta rete di traffici, collegavano con il palazzo tutti i paesi che circondavano le terre di Assur.